Articolo di Alice Redetti
Mi capita spesso di osservare che le persone molto stressate (soprattutto per motivi di lavoro), da una parte sono estremamente consapevoli del fatto che avrebbero la necessità di ricavarsi degli spazi vitali di decompressione, dall’altra rimandano ad un momento in cui “avranno tempo”, nell’impossibilità di vedere che stanno rimandando proprio quello che, molto chiaramente, servirebbe adesso.
È un atteggiamento molto comune di tutti noi, quello di aspettare il momento adatto, pensare che quando avremo risolto un po’ di cose allora staremo sufficientemente bene da poter prenderci cura di noi.
Perché lo facciamo? Dopotutto siamo persone adulte, intelligenti e già con qualche anno di esperienza alle spalle… perché allora non prenderci adesso quello spazio di cura per noi?
Il fatto è che fermarsi in realtà fa paura a tutti, appena ci si ferma si incontra più da vicino quel disagio che ci fa stare male e che a sua volta alimenta ulteriormente lo stress e il fare compulsivo, in un circolo vizioso senza fine: il lavoro ci stressa e lavoriamo ancora di più per non sentire quel disagio… tiriamo avanti, come si suol dire.
Fino a che il corpo non ce la fa più e ci porge un aiuto: ci ammaliamo e siamo costretti a fermarci. Quando ci fermiamo, e abbiamo il coraggio di guardare, possiamo finalmente incontrare noi stessi da un livello di verità più profondo.
Molte persone infatti hanno un cambiamento profondo dopo una malattia, ma questa non è necessariamente l'unica strada: portare consapevolezza introducendo nuove abitudini di vita con la meditazione, la respirazione e l'attenzione al corpo è un modo non traumatico e graduale per prenderci cura di noi ben prima di arrivare alla malattia.
Sarà un caso, ma negli uffici delle maggiori compagnie del mondo da anni vengono messi a disposizione dei collaboratori degli spazi dedicati esclusivamente alla meditazione.